I gusti non si discutono, questo è vero anche per i videogiochi però esistono molti titoli che sono quasi universalmente considerati brutti. Questi orrori videoludici in genere vengono definiti shovelware e tutti prima o poi abbiamo avuto a che farne; vuoi perché dalla copertina sembrava un gioco niente male o perché ad un incauto amico o parente è sembrato qualcosa che ci potesse piacere. In questa rubrica vedremo di decostruire il genere e daremo un occhiata a 5 categorie di questi cosiddetti shovelware. Pronti? Iniziamo!
Tie in cinematografici
Cinema e videogiochi difficilmente vanno d’accordo e anche se esistono eccezioni la maggior parte dei tie in cinematografici sono shovelware. Spesso infatti anche con una buona volontà da parte degli sviluppatori è impossibile creare un titolo godibile questo perché vengono a mancare diverse risorse essenziali quali i soldi (la maggior parte viene investita nell’ottenere la licenza del film) o il tempo (per farlo uscire in concomitanza col film o a volte anche prima). A volte però agli sviluppatori neanche interessa fare un gioco decente, dopotutto si tratta di un qualcosa destinato a vendere in ogni caso se il film ha successo.
Questi giochi son quasi sempre degli action in terza persona con dei controlli scomodi, un gameplay lineare e una grafica apparentemente buona ma che soffre di una serie di elementi che rendono il mondo di gioco triste e desolato. Ma questo è solo l’inizio se si incomincia a giocare si notano delle gravi mancanze sul lato delle animazioni e soprattutto dell’intelligenza artificiale che fa muovere i nemici in modo talmente penoso che sembra chiederti con sofferenza di mettere fine ai loro problemi, cosa che risulta difficile perché grazie ai controlli rigidissimi e alla scarsità di armi/abilità/combo le battaglie durano decisamente più del dovuto. Non preoccupatevi però, questo non aumenta molto la longevità di gioco anche perché in genere questi titoli durano dalle 2 alle 4 ore, naturalmente senza cose extra da fare.
Il caso – E.T: The Extra-terrestrial (1982)
Nella storia di videogiochi è difficile trovare un fallimento tanto colossale come quello di E.T per Atari 2600. Non ci credete? quanti videogiochi conoscete che sono stati causa di una crisi economica e ambientale? Solo E.T ci è riuscito ma scopriamo cosa è effettivamente successo. Come tanti tie in E.T è stato fatto sviluppare a tempo record, in questo caso in sole cinque settimane perché doveva assolutamente trovarsi sotto l’albero di Natale di ogni buon consumatore americano. Nonostante lo scarso tempo concesso gli sviluppatori pensarono che poteva bastare per creare un gioco dal gameplay innovativo e che poteva far ricordare il film al giocatore.
Spielberg in persona ebbe modo di provare il videogioco in anteprima e non ne fu molto entusiasta proprio per via del gameplay poco chiaro che consisteva nel trovare pezzi del telefono per E.T. Nonostante ciò il gioco fu rilasciato e tra recensioni pessime, passaparola e altri giochi brutti messi in commercio nello stesso periodo partì il cosìddetto crash dei videogiochi del 1983 che gettò l’industria videoludica nordamericana nel periodo più buio. Ma non finisce qua l’Atari oltre ai problemi economici doveva capire dove diavolo mettere tutte quelle cartucce non vendute (e parliamo di milioni). La soluzione è stata talmente grottesca che ancora oggi molti pensano che si tratti solo di una leggenda metropolitana. Tutte le cartucce vennero infatti seppellite in un terreno di proprietà Atari nel New Mexico e per completare l’opera decisero anche di fare una spessa lastra di cemento sopra per schiacciare tutto quell’orrore. Naturalmente quest’ultima scelta fu motivo di polemiche da parte degli ambientalisti e delle persone del luogo, tutto questo a causa di un gioco dal “gameplay innovativo”.
Le MegaCollection
Cosa c’è meglio di un videogioco se non tanti videogiochi? Questo è il pensiero base che sta dietro alle megacollection, ovvero riunire tanti software in un unica e imperdibile collezione. Ultimamente non se ne vedono moltissime rispetto agli anni ‘90 dove in ogni supermercato c’era una zona piena di cd che promettevano giochi e software vario a un prezzo bassissimo.
Purtroppo come si può ben intuire i 1000 giochi acquistati per 10.000 lire non sono esattamente dei capolavori, ma piuttosto della roba trovata a caso qua e là e messa velocemente nella compilation. Spesso infatti capitava di vedere roba talmente assurda da non essere nemmeno sicuri dove fosse stato possibile trovarla. A livello legale poi queste collezioni erano un po’ delle mezze truffe, infatti quello che veniva comprato non erano i 10, 100 o 1000 giochi ma alcuni giochi completi, alcune demo, e alcuni shareware tra cui programmi inseriti senza nemmeno avvisare lo sviluppatore o il distributore ufficiale. Anche tra i giochi completi poi non è che ci fosse chissà quale controllo qualità, dato che nella maggior parte dei casi si trattava di cloni fatti molto male pieni di glitch e dal crash facile. Per via di questi motivi il destino di questi cd dopo averli provati era un viaggio di sola andata per il cestino.
Il caso – Action 52 (1993)
Le megacollection di norma sono estremamente economiche, Action 52 però è un caso particolare, infatti tutti e 52 i giochi inclusi nella cartuccia per il Nes hanno un unico sviluppatore e all’epoca erano stati annunciati come “divertenti e innovativi”. Questo ne avrebbe giustificato il costo di 199 dollari americani al momento dell’uscita, ma come vedremo a breve il livello qualitativo non è poi molto diverso dalle altre megacollection. Infatti una volta inserita la cartuccia nel Nes appare una schermata con i giochi selezionabili e già da li un attento osservatore potrebbe incominciare a pensare di aver fatto un cattivo affare.
Ma non si giudica un libro dalla copertina per questo bisogna giocare e vedere se questi 52 giochi sono effettivamente divertenti. Giocare però è un problema; i 52 capolavori sono quasi tutti affetti da glitch pesantissimi e in alcuni casi non è nemmeno possibile andare oltre la schermata del titolo. La cosa ironica è che il distributore all’epoca aveva persino messo in palio 52.000 dollari per chi avesse finito un titolo specifico per primo, il problema è che il gioco in questione non era tecnicamente capace di andare oltre al secondo livello senza crashare di conseguenza rendendo impossibile l’impresa.
Ok magari questa cartuccia non vale poi così tanto, ma tra questi 52 giochi c’è almeno un titolo passabile? Purtroppo no anche se gli sviluppatori hanno visibilmente messo più impegno in un gioco, ovvero Cheetahmen, l’ultimo della lista. Secondo loro Cheetahmen sarebbe diventato un nuovo franchise simile alle Tartarughe Ninja (che all’epoca erano i cartoni più cool del momento). L’ottimismo degli sviluppatori però si è rivelato infondato in quanto ben presto il passaparola dei consumatori e le scarse vendite han fatto eclissare i sogni per un seguito, che in realtà esiste ma non è mai stato rilasciato ufficialmente.
La roba “social” e i browser game
Al giorno d’oggi è umanamente impossibile navigare per internet e non imbattersi in un gioco social o in un browser game. Scommetto che persino nella pubblicità che vedete nella barra laterale di questo sito ci sia un qualche annuncio riguardo all’ennesimo divertentissimo gioco gratuito da provare senza installazione. La verità è che questa tipologia di giochi son per la maggior parte shovelware sviluppati da aziende amanti del guadagno facile tramite il pay to win, ovvero la pratica di spendere soldi reali per avere vantaggi nel gioco. Purtroppo per quanto siano brutti e fatti male questi giochi funzionano così bene su tanti livelli che a contrario degli altri shovelware questi vengono addirittura spacciati per titoli di qualità.
Il perché è da ricercarsi nella natura estremamente social di questi giochi, chi studia psicologia sa infatti che esiste una specie di istinto di sopravvivenza che ci fa amalgamare alla massa, la stessa massa che ci manda su facebook 50 richieste per Farmville ogni giorno. Questo unito al fatto che non si paga almeno inizialmente ci fa avere meno aspettative sulla qualità del gioco e poi dannazione se ci giocano tutti non sarà poi così male no? A quel punto si diventa un ulteriore ingranaggio in un meccanismo già enorme la cui filosofia principale è “devo guadagnare punti, per farlo devo avere risorse, per avere risorse pago soldi o le chiedo ai miei amici”. Per questo motivo si incomincia a chiedere a tutti di giocare, iniziando altra gente a un gameplay ripetitivo e sviluppato in modo tecnicamente pessimo.
Il caso – Vatican Wars (2011)
Su facebook esiste un gioco social per quasi ogni attività; si può essere un gangster, un agricoltore, un pirata, un cantante ecc. Ma quello che sbalordì tutti un po’ di tempo fa, fu l’occasione di diventare un prete e rincorrere il ruolo di papa virtuale.
Di per sé il gioco non è niente di eccezionale rispetto agli altri del genere ma proprio l’idea di mettere la religione al centro del gioco ha esaltato le masse e ha dato notorietà al gioco. Ma come si sviluppa il gameplay di un gioco che vuole simulare l’avventurosa vita di un aspirante papa? Innanzitutto come in tutti i giochi social che conoscete l’obiettivo sarà avere più seguaci possibili (un sistema molto realistico se si parla di religioni!) dalla vostra parte che potrà essere quella di templare o crociato a seconda delle visioni più conservatrici o liberali del giocatore. Dopodiché il gioco consisterà nel discutere dei temi caldi della chiesa come l’aborto e i matrimoni gay.
In base alla leadership (o ai soldi) del giocatore si potrà diventare papa e quindi cambiare le posizioni etiche della chiesa e scegliere come spendere i soldi dell’otto per mille raccolti agli italiani (no purtroppo questa è un opzione disponibile solo nel mondo reale). Naturalmente veloce come è salito al ruolo di papa il giocatore può anche scendere e come in tutti i giochi di questo genere non c’è un vincitore ma solo gente che mette alla prova la propria pazienza (o magari in questo caso la propria fede) e prova a scalare una tediosissima classifica.
Tween games
Durante lo sviluppo di un individuo esiste una fase molto delicata della vita che segna l’abbandono dell’infanzia ma senza entrare nelle nuove difficoltà della vita adolescenziale. Questo fascia di età è stata chiamata “Tween years” e qua in Italia la possiamo identificare come il periodo delle medie. Gli sviluppatori di videogiochi devono aver capito bene i vantaggi dovuti alla voglia di ribellione del ragazzo non ancora accompagnata dai passatempi considerati più “adulti” dall’adolescente ed è per questo motivo che esistono i giochi fatti apposta per loro.
Spesso questi giochi sfruttano immagini di idoli creati apposta per i tween e a volte finiscono anche nella zona dei tie in cinematografici. Però quello che conta non è tanto avere un ottima immagine ma piuttosto un gameplay piatto e veloce (dovuto probabilmente all’incremento del deficit d’attenzione nei bambini) che tratta di temi estremamente “politically correct” quasi al limite del buonismo e perché no del sessismo (a proposito provate a guardare i giochi “per maschi” e quelli “per femmine”).
Il caso – La serie Giulia Passione (2007 – in corso)
Se si cercano degli shovelware, la Wii e il Ds sono i sistemi migliori. Quest’ultimo in particolare conta di molti titoli e infatti quando si cerca qualche gioco prima o poi capita di imbattersi nella serie Giulia Passione. Questa serie per ragazze dai 7 ai 13 anni parla di diversi temi o passioni se preferite e quindi ogni gioco è un po’ un universo a sé. Quello che però accomuna tutti i titoli come avrete capito è la scarsa qualità, il che spiega anche perché questa roba esce così velocemente!
Se si guarda il sito ufficiale messo su da Ubisoft, si può vedere un inferno cromatico degno dei numeri di Cioè con sondaggi e statistiche su quale sia il gioco migliore della serie. Quello che personalmente non riesco a capire è come possano identificare quel target di età con questi prodotti, per carità i giochi brutti son sempre esistiti ma farne un marchio di fabbrica mi sembra assurdo. La verità è che tutto questo porta notevoli guadagni dovuti appunto alle sprovvedute ragazzine che entrano nel mondo del gaming per la prima volta con “Giulia Passione Top Model” e probabilmente dopo aver sviluppato una certa promiscuità sessuale non ci torneranno più (e come biasimarle!).
Le Console Shovelware
Vi ricordate i cloni del gameboy che si trovavano dai venditori abusivi durante gli anni ‘90(che grande decennio!)? Probabilmente ho visto più gameboy contraffatti che gameboy veri all’epoca. Spesso queste console oltre a copiare spudoratamente il prodotto ufficiale avevano anche qualche gioco orrendamente inserito in memoria. Inutile dire che quando ci giocavi capivi dove erano finiti i soldi di differenza ma non ci si faceva generalmente molto caso anche perché i giochi erano quelli che erano e imitare un tetris era certamente più facile che imitare un gioco per psp.
Provare i giochi contenuti in queste console è quasi sempre un esperienza surreale per via della loro incompletezza. Probabilmente chiunque abbia progettato queste console voleva solo dare una somiglianza approssimativa di quello che è un videogioco anche perché essenzialmente lo scopo di questi prodotti è truffare il consumatore. A volte però non capita nemmeno di trovare qualche prodotto fatto ad hoc per il sistema ma piuttosto ci si ritrova con un sacco di giochi emulati. Al di la dei problemi legali non sarebbe neanche male trovarsi una console con un sacco di giochi del Nes o dell’Atari, il problema è che questi giochi sono emulati malissimo sull’hardware in questione e presentano bug, glitch e problemi di controllo ovunque. Si finisce così col giocare a Sonic the Hedgehog a 2 frame al secondo su un finto Nintendo Ds chiamato PartyStation 3 o qualcosa di simile.
Il caso – Mega Power (Data sconosciuta, probabilmente tra il 2005 e il 2007)
Chi di voi non ha mai voluto un videogioco intelligente? Che cos’è un videogioco intelligente? Ce lo spiega Roberto Artigiani in questa televendita
Tralasciando le abilità del venditore, che probabilmente sarebbe in grado di vendermi centinaia di queste console spazzatura solo per come descrive i giochi, parliamo un po’ di questo Mega Power. A contrario di altre console che vengono commercializzate con aspetti e nomi al limite della denuncia, questa qua sembra apparentemente normale. Certo, bisognerebbe chiedersi in quale universo è normale vendere una console “nuova” a 8 bit per 70 euro ma come dice il buon Roberto all’inizio questa console non è tanto per i giovani ragazzi che vogliono comprare una console a poco, ma piuttosto per i genitori e i nonni che pensano di aver fatto l’affare del secolo ad aver comprato questa roba invece che una costosa Ps3 o Xbox per i propri figli o nipoti. Se si guarda bene poi si scopre che si tratta dell’ennesimo clone del Nintendo. Non è una cattiva cosa in sé ma purtroppo come potete immaginare e vedere dai video spendereste 70 euro per una versione stuprata di Super Mario Bros e di tutti i giochi che tanto ci hanno fatto divertire. Eh si, come dice Roberto “c’è sempre qualcosa di meglio”, in questo caso qualunque cosa.
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