Nelle parte uno e due di questa serie
mi sono messo a parlare dei meccanismi classici che spingono il gamer
a finire il gioco. Meccanismi a volte talmente subdoli e astratti che
risulta difficile anche solo parlarne, soprattutto perché
nonostante le spiegazioni più logiche e provate ci sarà sempre
qualcuno che cercherà qualcosa di diverso nell'esperienza di gioco.
Di conseguenza quello che a me diverte quando gioco a Super Mario
potrà essere simile ma non uguale a quello che spinge un altro a
giocarlo ed è proprio di questa diversità soggettiva che voglio
parlare oggi. Per farlo ho deciso di parlare di un gioco in
particolare questo perché secondo me spiega molto meglio la cosa di
pagine e pagine di teoria. Il gioco in questione è Hotline Miami che
da sempre consiglio caldamente a tutti i gamers che conosco. Se ci
avete già giocato e vi chiedete cosa abbia di speciale continuate a
leggere, ci arriverò molto presto.
Hotline Miami si presenta come il
classico gioco indie: gameplay semplice, grafica 2d poco dettagliata
e una storia piuttosto strana. Lo scopo di quasi tutti i livelli è
uccidere ogni persona, un classico! Quello che però lo differenzia
sono le modalità: a contrario degli sparatutto o degli rpg in
Hotline Miami non c'è una barra della vita ma si muore appena si
viene colpiti, stessa cosa per i nemici che al massimo potranno
essere storditi e dovranno essere finiti con un altro colpo. Questo
approccio se ci si pensa è in realtà molto realistico e in un certo
senso contrasta con il mondo estremamente stilizzato creato dagli
sviluppatori. Quando si finisce un livello appare una schermata dove
vengono assegnati dei punti in base alla “performance” del
giocatore e quello che si apprende è che il gioco premia gli
atteggiamenti sconsiderati come le uccisioni in fila, uscire alla
scoperto davanti ai nemici, la varietà di uccisioni ecc. insomma
incita il giocatore ad essere il più violento possibile.
Durante la storia il protagonista
incontrerà tre strani personaggi uno dei quali gli porrà delle
domande tra le quali spicca “Ti piace far male alle persone?”.
Questa domanda si può intendere in più modi e ci si può chiedere
quale sia effettivamente il motivo del protagonista, se lo fa per
odio, per soldi, per vendetta oppure per semplice divertimento. Sono
cose che non ci è dato sapere ma quel “Ti piace far male alle
persone?” è anche per il giocatore è come se gli sviluppatori
stessero chiedendo al giocatore se si sta divertendo a giocare anche
se metaforicamente il suo divertimento deriva da un atto orribile. A
questo punto saltano fuori due categorie di giocatori: una che non si
fa domande e continua a giocare per il gameplay in sé e una che in
realtà continua solo per avere delle risposte sul perché delle
azioni del protagonista. Se espandiamo un po' queste prospettive
possiamo dire che alcuni non hanno bisogno di “motivi” per
giocare, si divertono a far male alle persone dentro al gioco per un
motivo fine a sé stesso mentre altri cercano qualcosa di più,
magari non trovano l'attività neanche tanto divertente ma vanno
avanti solo per cercare risposte. Teniamo a mente queste due
prospettive perché le ritroveremo.
A un certo punto nel gioco (e qui
iniziano gli spoilers!) il protagonista si risveglierà da un coma ed
essenzialmente si capirà che quello che è successo prima sono
ricordi o allucinazioni di eventi passati. Dai discorsi dei medici si
intuisce che la ragazza del protagonista è stata uccisa e da quel
momento a livello narrativo il gioco cambia. Il livello dell'ospedale
è probabilmente quello più odiato da quelli che hanno giocato ad
Hotline Miami e il perché è facilmente intuibile: non si può
uccidere nessuno, si inizia da capo il livello appena si è visti e
camminare per troppo tempo immobilizza per qualche secondo il
protagonista. Però da quel momento il gioco ha una trama, non è più
uccidere a caso ma è il protagonista che deve scappare dall'ospedale
per andare a vendicarsi è come se gli sviluppatori avessero detto:
“Volevi una storia a tutti i costi? Eccola!”. Nei livelli
successivi si scopre sempre di più fino a combattere contro il boss
finale e poi... niente! Alla fine del gioco il protagonista fuma su
un balcone dopo aver ammazzato tutti i nemici ma le domande rimangono
ed è qua che entra in scena la seconda parte di Hotline Miami. Dopo
un rewind ci si ritrova a giocare come il primo boss del gioco, un
tizio con un casco da motociclista. Questa volta la storia è molto
dettagliata e dai primi dialoghi salta fuori che questo nuovo
protagonista vuole uscire dal giro delle uccisioni perché non si
diverte più e perché non sopporta più di farlo senza motivo. Ora
ci riallacciamo al discorso iniziale e alla domanda “Ti piace far
male alle persone?” Il protagonista iniziale rappresenta il
giocatore che non si fa domande, si diverte con il gameplay per
quello che è mentre il tizio con il casco è quello che vuole
risposte vuole un motivo per divertirsi, vuole qualcosa che
giustifichi il tempo speso a giocare.
Le sezioni con il motociclista non sono
particolarmente curate come quelle con il protagonista originale
questo anche perché non si possono usare le maschere e si ha una
sola arma a disposizione e tutto questo rende il gioco un po' meno
divertente della prima parte. Alla fine il motociclista trova le due
menti dietro alle chiamate per le uccisioni e rullo di tamburi... non
sono altro che i due sviluppatori del gioco! A quel punto parte un
dialogo interpretabile in più modi (“abbiamo organizzato tutto noi
da soli: siamo indipendenti!” “per noi non è altro che un
gioco!”) insomma non proprio le risposte che voleva il motociclista
o quel tipo di giocatore però effettivamente il punto degli
sviluppatori è che non han fatto un gioco dove il divertimento va
ricercato in chissà quale significato nascosto ma piuttosto secondo
loro il divertimento va ricercato nel gameplay puro. Poi per il
giocatore che proprio non si vuole arrendere esistono i pezzi del
puzzle che sbloccano un finale alternativo dove i due personaggi
finali spiegano di far parte di un organizzazione politica segreta.
Non è un gran finale soprattutto considerato il primo e l'ennesimo
ribadire che se vuoi trovarci un significato a tutti i costi lo puoi
anche fare ma alla fine che cosa hai ottenuto davvero?
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