La scorsa settimana ho incominciato a
giocare a The Stanley Parable, un gioco altamente consigliato
nonostante il prezzo forse un po' troppo alto in relazione ai
contenuti offerti. Questo gioco però (di cui non vi dirò niente per
non rovinarvi le sorprese) mi ha fatto riflettere su come funziona un
videogame o meglio che cosa ci si aspetta di fare. Lo so che può
sembrare una di quelle assurde domande filosofiche piene di questioni
esistenziali ma alla fine della fiera le uniche domande da porsi
sono: “Cosa devo fare in questo gioco?” e “Fare queste cose mi
ha divertito?”.
Per rispondere guardiamo brevemente ai
vari tipi di gioco possibili e facciamolo partendo dall'inizio.
Nei giochi tipo Pong o Space Invaders
l'unico scopo è quello di fare punti attraverso una semplice
meccanica di gameplay come distruggere gli alieni che scendono giù.
Personalmente ho sempre trovato giochi del genere altamente noiosi
forse perché essendo nato molto dopo la loro uscita sono stato
viziato con cose più complesse tuttavia il fascino di questa
meccanica è innegabile, più si è bravi a giocare più punti si
ricevono, fattori come fortuna o sfortuna non contano sta tutto
nell'abilità e la ricompensa è un numero, l'high score che si
ottiene alla fine. Una sola azione determina il gioco e pur essendoci
molte combinazioni disponibili il gioco è sempre lo stesso. I
blocchi di Tetris continuano a scendere, gli alieni in Space Invaders
continuano ad arrivare e i livelli di Pacman si ripetono. L'unico
modo per finire il gioco è battere la macchina, ovvero continuare
finché il punteggio non può più salire. Molti gamers amano ancora
questo tipo di gioco ma facciamo un passo avanti e passiamo a un
altro tipo di obiettivo.
La maggior parte dei giochi moderni ha
un inizio e una fine, il bello di questi giochi è che si ha un senso
di progressione, magari alcuni livelli di Super Mario Bros si
assomigliano ma non sono mai uguali e questo è importante perché ci
si crea delle aspettative. Non tanto per la storia che è ancora una
parte marginale del gioco ma per i livelli. Il giocatore vuole vedere
cosa c'è dopo, e per farlo bisogna essere abili nel tipo di gameplay
che il gioco propone. Il fatto che il gioco finisce è la cosa
importante che da profondità al gioco e che ricompensa il giocatore
per i suoi sforzi. In questo tipo di esperienza però mancano ancora
diverse cose.
Un gioco non deve essere per forza solo
gameplay e non deve necessariamente esistere per potenziare l'ego del
giocatore. Un buon gioco può anche essere un occasione per
raccontare una storia, una storia interattiva. Le avventure grafiche
e alcuni rpg seguono questo principio: il gameplay c'è ma è
trainato dalla narrazione e spesso il gamer tende a
tralasciarlo del tutto una volta che si appassiona alla trama.
Tantissime volte ho continuato un titolo solo perché mi interessava
la storia anche se il gameplay era orrendo, i miei pensieri erano del
tipo “ma perchè non è un libro o un film?”. Molti gamer tendono
a snobbare giochi del genere perché l'abilità del giocatore va in
secondo piano e per alcuni è inaccettabile: come fa il giocatore a
sentirsi realizzato senza una sfida?
Ma il bisogno di una sfida è veramente
necessario? Ci sono anche giochi che non propongono nessuna sfida,
non ti dicono cosa fare, non cercano neanche di farti appassionare
alla storia, ti lasciano da solo a fare quello che vuoi nei limiti
del gameplay. I cosiddetti sandbox funzionano in questo modo: ogni
giocatore può crearsi la sua sfida personale, la sua storia.
Prendiamo il fenomeno The Sims, la sua premessa è semplice e
inquietante allo stesso tempo: puoi far vivere delle persone come
vuoi tu. Puoi simulare la vita che hai sempre desiderato e puoi
causare le peggiori sofferenze con qualche clic. Dov'è il
divertimento? Per capirlo dobbiamo esplorare brevemente il concetto
di escapismo. Alle persone piace immaginarsi altri mondi e situazioni
diverse dalla loro, questo per scappare dalla realtà in cui vivono e
che spesso non è all'altezza delle aspettative. Come tutte le cose
se portata agli estremi può diventare una condizione patologica ma è
anche una caratteristica necessaria per non impazzire. Creare dei
mondi virtuali alimenta queste fantasie e per alcuni è un occasione
unica nonché una valvola di sfogo. In questo caso il giocatore non
cerca più un significato nella sfida ma piuttosto se lo crea da
solo.
A breve la parte 2
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