mercoledì 13 novembre 2013

Come funziona il gaming? Parte 2

Perché ci diverte premere dei tasti davanti a uno schermo? Una domanda filosofica a cui è difficile rispondere anche perché si sa l'arte è quasi impossibile da spiegare. Quello che possiamo fare è tentare di capire come funzionano la maggior parte dell'intrattenimento videoludico che tanto ci piace. La scorsa volta abbiamo visto brevemente alcune meccaniche di gameplay che sembrano causare il tanto ricercato “divertimento”, continuiamo quindi iniziando a parlare di un genere di gioco dove il divertimento è proibito!


Quando lo schema di gioco è talmente preciso e bilanciato da farlo sembrare una partita a scacchi ci si inoltra nella terribile zona del pro gaming. Qui il senso principale dell'esperienza non è la storia o il gameplay fine a sé stesso ma piuttosto la competizione; con questo non voglio dire che non ci si possa comunque svagare con un partita online a Street Fighter IV o a Starcraft, i problemi iniziano quando il gioco diventa uno strumento per affermarsi sugli altri ovvero quando il divertimento significa vincere a tutti i costi. Nei giochi singleplayer siamo consapevoli di giocare contro un intelligenza artificiale più o meno avanzata ma nel multiplayer sono tutti esseri umani quelli che sfidiamo e si sa, tutti vogliamo primeggiare. Tornando a parlare di meccaniche in questo tipo di gioco l'obiettivo è appunto sconfiggere il giocatore avversario, anche in questo caso quindi non è il gioco a ricompensare il giocatore per la sua bravura ma sono gli avversari la vera sfida trasformando quindi il classico binomio uomo contro macchina a uomo contro uomo.


Che sia una macchina o un uomo stiamo sempre sfidando qualcuno, esistono però anche casi dove in realtà il giocatore si sta sfidando da solo. Si tratta dei rhythm games come Guitar Hero o Dance Dance Revolution, giochi dove essenzialmente l'unica variabile viene messa dal giocatore stesso. Ogni livello si evolve esattamente allo stesso modo questo perché non ci sono delle vere e proprie scelte da compiere come saltare su quel nemico piuttosto che schivarlo o posizionare i blocchi che cadono, tutto si risolve premendo un tasto al momento giusto. Se si sbaglia non cambia niente se non il punteggio perché il gioco continua ad andare avanti allo stesso modo ogni singola volta che lo si fa partire. Questo tipo di gameplay per quanto semplice ed essenziale funziona bene per diversi motivi: innanzitutto perché togliendo tutte le variabili possibili di un gioco normale il giocatore si può concentrare su un compito solo e questo lo possono fare anche le persone meno pratiche del mondo videoludico e con questo non voglio dire che i “casual gamers” sono stupidi, semplicemente molte persone faticano a entrare nel mondo del gaming perché spesso non si ha idea di che cosa bisogna fare e cosa aspettarsi. Questo gameplay invece oltre ad essere immediato nell'esecuzione è anche immediato nella ricompensa: quando si preme il tasto giusto appaiono scritte luminose e altri effetti piacevoli per non parlare del gesto in sé che pur essendo simbolico e stereotipato (premere dei tasti su una chitarra finta non è suonare, muoversi su quattro pedane non è ballare ecc.) fa sentire il giocatore come una vera e propria star.


Il fatto di far sentire il giocatore in un certo modo è sicuramente un plus e ultimamente molti giochi soprattutto del panorama indie stanno tentando di focalizzarsi completamente su questo. Con il termine far sentire qualcosa non intendo provocare emozioni dovuti a una storia appassionante come descritto precedentemente, piuttosto parlo di giochi dove lo sviluppatore tenta di evocare certe emozioni basandosi sull'atmosfera per comunicare un messaggio più grande. Detto così può sembrare un cosa arrogante pensata da gente un po' troppo esaltata e ahimé purtroppo è così in tantissimi casi, basta aprire Steam e cercare i giochi indie per accorgersene. Molti sviluppatori sono convinti che con una grafica 8 bit (più veloce da fare e che punta alla nostalgia dei giocatori) un gameplay minimalista e qualche riga di testo un po criptica si possa fare un capolavoro artistico ma non è così semplice. Quando un gioco vuole parlare al giocatore deve per forza proporre dei contenuti particolari che fanno tralasciare il gameplay ma non per questo ignorarlo del tutto perché alla fine si tratta comunque di un esperienza interattiva. Alla sfida quindi si aggiunge un altro livello di “divertimento” uno che punta sull'egocentrismo del giocatore quel senso di “ah ho capito cosa intendi dire, ci sono passato anch'io” e la fa sembrare una cosa personale quando in realtà è quello che proviamo tutti chi più chi meno, così facendo ci si affeziona al gioco e si prova a finirlo in tutti i modi nella speranza di trovare qualche altro momento di empatia con esso.

A presto la parte 3 dove finirò il discorso e tenterò di trarre qualche conclusione!

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